Occupy Gezi Park. Tutto comincia da un albero.
La foto qui sopra (Istanbul, 31 maggio 2013, Scott Peterson/Getty Images) raffigura alcuni attivisti posare un vaso con un albero in mezzo ad una delle strade che sono state teatro degli scontri degli ultimi giorni tra manifestanti e polizia. Il movimento
di protesta che
sta montando in Turchia ha
molte anime e
possiede
una genesi che
eccede rivendicazioni di ordine
ambientalista:
il paese
attendeva
evidentemente
un innesco per un dissenso
che già vibrava. Ma è un caso che tale
innesco sia stato un'azione di difesa di un parco urbano?
Vediamo
brevemente cosa è successo il primo giorno. Lunedì 29 maggio tra le
50 e le 100 persone organizzano una protesta pacifica in difesa di
Gezi Park, un piccolo parco urbano, tra le poche aree verdi rimaste
ad Istanbul. Il parco è attualmente la casa di più di 600 Aceri
montani (Acer pseudoplatanus), anche detti sicomori. Secondo i piani
dei costruttori e del governo Erdogan, al posto del parco dovrebbe
essere innalzata una serie di edifici ad uso commerciale e una
moschea. Fin da subito la reazione delle forze dell'ordine si
manifesta come ingiustificatamente repressiva. Cionostante lo
sgombero non riesce e la sera del 29 gli attivisti, il cui numero è
ormai salito a diverse centinaia, decidono di accamparsi con delle
tende nel parco, per presidiarlo contro la demolizione, che in una
nota ufficiale Erdogan conferma essere inevitabile e imminente. Alle
cinque del mattino la polizia torna alla carica, utilizzando
lacrimogeni e dando fuoco ad alcune tende nell'accampamento.
I
violenti tentativi di sgombero di questi primi manifestanti danno il
via ad una reazione a catena: in poche ore i dimostranti passano
dalle centinaia alle decine di migliaia. Più la repressione si fa
dura, più gente scende per le strade. Più le fila della protesta si
ingrossano, più la polizia abusa della sua autorità. Questo fino ad
oggi, quando si contano ormai tre manifestanti uccisi ed un
poliziotto morto a causa di una caduta per quanto noto accidentale.
A
questo punto, nell'interpretazione offerta dai media, la difesa di
Gezi Park sembra ormai essere passata in secondo piano rispetto ad
altre motivazioni della protesta: la deriva autoritaria del governo,
la violenza senza controllo della polizia, le progressive limitazioni
alla libertà di stampa.
Eppure
ci sembra sbagliato liquidare la motivazione scatenante del più
grande movimento di protesta che la Turchia abbia visto negli ultimi
trent'anni come puramente simbolica. La protezione di centinaia di
alberi non ha nulla simbolico: evidentemente quello spazio è
sentito come un diritto incoercibile da parte degli abitanti di
Istanbul e così dovrebbe continuare ad essere letto.
I
parchi sono spazi di
socialità liberi
da interessi economici, ed il legame tra questa loro
caratteristica ed
il loro essere “verde
pubblico” non è affatto
casuale. Il verde è, a ben vedere, costitutivamente pubblico. Anche
quando gli alberi crescono in
giardini privati, formano un panorama cittadino che è
collettivamente apprezzabile, riducono
le temperature estive in
città, ripuliscono
un'aria che
tutti respirano. Se poi crescono in un parco,
gli alberi e le piante creano
un micro-ambiente
autonomo rispetto alla città
ove si inserisce, un ambiente nel quale le regole del quotidiano si
allentano, i ritmi decelerano, i ruoli sociali possono essere messi
tra parentesi. Le
aree verdi sono forse gli
unici spazi urbani in cui
alla persona viene
riconosciuta un'identità che eccede il suo essere un consumatore.
Siamo consumatori mentre
guidiamo la nostra automobile
per le strade, con il
perpetuo accompagnamento di cartelloni
pubblicitari, siamo
consumatori mentre camminiamo
lungo i marciapiedi e
scorriamo con lo sguardo la
sequenza di vetrine.
Ecco
perché i parchi sono luoghi fragili: non presidiati da un
particolare interesse economico, possono diventare appetibili per
molti (il progetto di costruzione di uno shopping mall
al posto di Gezi Park è in questo senso emblematico).
Ecco
perché i parchi sono luoghi pericolosi: consentono a chi vi accede
di pensarsi diverso dalla sommatoria dei prodotti che consuma, di
socializzare ed unirsi, persino di ribellarsi.
La
protesta dei cittadini turchi ha avuto inizio con il presidio di un
parco pubblico non perché fosse un atto simbolico, ma perché
stavano difendendo un ambiente che può accogliere una socialità
indipendente da imposizioni istituzionali o da interessi commerciali.
La salvaguardia
del verde pubblico non è liquidabile come una questione “da
ambientalisti”: ciò che si difende attraverso
gli alberi è il diritto ad
essere persone al di
là dei ruoli sociali che ci vengono assegnati.
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